stuprata-modena-770x513Chiudersi ancora nel tabù della sessualità è ormai un atteggiamento che rischia di creare nuove frontiere di rischio per la sicurezza dei più giovani e delle più giovani. Sarno, come molti altri casi, ne è un triste esempio

Di Rosario Coco –  Si fa presto a parlare di casi isolati, di zone degradate e così via. Tuttavia, lo stupro di Sarno non può certamente fermarsi alle narrazioni di cronaca. Il problema da affrontare va infatti nettamente al di là dello sdegno che si può provare in quei due-tre giorni in cui si riempie qualche pagina di giornale. Personalmente, io non sono sorpreso da quanto accaduto. Episodi di questo genere, di pari, minore gravità o a volte maggiore gravità, in cui il passaggio dal bullismo alla violenza sessuale corre su una sottile linea di confine, sono all’ordine del giorno. Secondo i dati ISTAT del 2014, il 50% dei ragazzi e delle ragazze tra gli 11 e i 17 anni sono vittime di bullismo, il 19% lo subisce più volte al mese, il 9,1% ogni settimana. Secondo un’indagine di skuola.net (2014), fonte riportata dal Ministero dell’Interno, su un campione di oltre 2100 studenti di terza media il 31% dei ragazzi è stato almeno una volta vittima di forme di cyberbullismo, nel caso di ragazze si sale al 35%. Per il 37,3% di loro il cyberbullismo è peggiore del bullismo ‘tradizionale’ e, per il 53,7%, anche più frequente.

Nel Governo, pur con molte difficoltà, ci sono delle persone che si stanno impegnando su questo punto scontrandosi con le difficili dinamiche di maggioranza. A breve dovrebbe uscire il documento attuativo del MIUR dell’articolo 16 della “Buona Scuola”, quello che ha fatto gridare allo scandalo del “gender nella scuola”, che rappresenta pur sempre un timido tentavo di iniziare ad affrontare almeno l’educazione di genere

Tuttavia, proprio per mettere alla berlina certe contraddizioni, a noi attivisti e attiviste, tocca un altro genere di riflessione. L’Italia è l’unico Paese europeo insieme alla Grecia a non avere alcun programma di educazione sessuale, di genere o sentimentale. Per semplificare, adottiamo la dicitura utilizzata dall’OMS nelle famose linee guida per l’Europa del 2010, il documento che, per intenderci, fu tacciato di propagandare l’insegnamento della masturbazione all’asilo da chi forse ne aveva capito solo il titolo o faceva finta di non capire nemmeno quello. L’OMS parla, infatti, di educazione sessuale in senso “olistico”, riferendosi tanto ai contenuti medico-sanitari, quanto ai contenuti culturali in termini di educazione alle differenze.

Questa dicitura ci permette di parlare di educazione sessuale in senso lato, superando le accuse di riduzionismo alla mera sfera materiale. Esiste in Italia una proposta di legge sull’educazione sentimentale, depositata dalla deputata Celeste Costantino,  un’iniziativa lodevole, che ha creato dibattito, che tuttavia dev’essere coraggiosamente superata. Bisogna, infatti, rompere questo muro di ipocrisia e iniziare a pronunciare la parola “sesso”.

img-_innerArt-_ImmagineMi rivolgo a tutti i fieri oppositori del cosiddetto “gender” nelle scuole, ma anche ai dubbiosi in tema di educazione sessuale nelle scuole. Cosa ci aspettiamo in un epoca in cui “i nostri figli”, proprio quelli che qualcuno vorrebbe difendere dal mostro gender, usano smartphone e tablet già a sei anni e spesso e volentieri non hanno altri lumi sul pianeta sesso se non ciò che trovano nel marasma confuso del web? Chi di noi non ha mai digitato le parole sesso, sex, varie ed eventuali su un browser? Ecco: in pochi anni siamo passati ad un epoca in cui qualsiasi immagine, dall’illustrazione in stile Treccani ad un video porno hardcore hanno la stessa reperibilità e vengono proposti a chiunque senza alcun filtro. Lungi qui dal voler anche solo minimamente proporre un atteggiamento censorio o bacchettone nei confronti della pornografia, che ha anzi avuto un importante ruolo di emancipazione e rottura di certi schemi. Il punto è che, mentre si spiega già all’età di 3-4 anni a un bambino o una bambina la differenza fra tv, cinema e realtà, nessuno si è prende la briga di spiegare allo stesso modo la differenza tra pornografia e realtà, tra sesso rappresentato e sessualità reale. Senza questo filtro, che è uno dei principali obiettivi di cui si parla nelle linee guida dell’OMS, è naturale che si possano produrre prassi violente e vessatorie. La pornografia, infatti, per esigenze narrative, non solo tende in molti casi a riprodurre gli stereotipi di subalternità uomo-donna, ma li presenta in dinamiche relazionali spesso surreali.

Basta pensare agli “approcci” che vediamo in molti film: quante volte abbiamo visto lui prendere un “due di picche” da lei in un porno? E’ chiaro che se nessun altro parla ai ragazzi di sesso, sessualità, affettività, stereotipi, rispetto delle differenze, se nessun altra spiega la differenza tra la dimensione “teatrale” della pornografia e il mondo reale, è prevedibile che qualcuno prima o poi dia per scontato che le ragazze ci stanno sempre e comunque, o che qualcuna pensi sempre che i ragazzi sono tutti dei pervertiti che pensano solo al sesso.

Come intervenire quindi? Le soluzioni adottate in Europa e nel mondo si possono riassumere in tre macroaree: l’introduzione dell’insegnamento specifico, l’introduzione dell’argomento in altre materie, la realizzazione di momenti di formazione e progetti specifici con una normativa nazionale.

Quale di questi modelli sia più adatto all’Italia è un domanda che dobbiamo porci tutti e tutte. Di certo, dev’essere chiaro un concetto: chiudersi ancora nel tabù della sessualità è ormai un atteggiamento che rischia di creare nuove frontiere di rischio per la sicurezza dei più giovani e delle più giovani. Sarno, come molti altri casi, ne è un triste esempio. E ci siamo risparmiati, in questa riflessione, tutto il capitolo relativo all’informazione sulle IST e sull’uso del preservativo.

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Fonte: ANDDOS